Siamo a Milano, in pieno boom economico, inizio anni
sessanta.
La famiglia Pozzoli, che vive in zona Carrobbio, prende una decisione drastica:
basta abitare in centro, in queste case vecchie,
che necessitano di grandi riparazioni! Meglio trasferirsi in periferia, dove
stanno costruendo nuove abitazioni, dei bei condomini circondati dal verde,
lontani dai rumori e dal traffico caotico.
Enrico Pozzoli, classe 1945, un giovane
appassionato di fotografia, si trova così sbalzato in una realtà completamente
diversa da quella conosciuta fino ad allora; la nebbia, innanzitutto, una
nebbia fitta, incomprensibile per chi vive in centro città, che si stende
pesante sui campi e che impedisce di vedere il lato opposto della strada.
D’estate, invece, sono i grilli (mai uditi prima di
allora) ad augurargli la buonanotte.
Ma, soprattutto, avviene l’incontro con gente che
da sempre staziona ai margini delle città, gli zingari e i giostrai, nomadi
abituati a condizioni di vita precarie.
La sua curiosità gli fa vincere la naturale
timidezza, e fa scaturire un rapporto di fiducia; è così che ottiene il
permesso di effettuare degli scatti che – visti oggi – costituiscono una
preziosa testimonianza del nostro recente passato.
In questa mostra vediamo una selezione di immagini
tratte dalla serie dei “Giostrai”.
I giostrai, i gestori di giostre, appunto, sono
persone perlopiù di origine Sinti, una delle etnie che compongono il variegato
panorama delle popolazioni nomadi
In questi scatti vediamo ragazzi che si tengono in
bilico sulle scale, o sulla bicicletta, piccole piramidi di persone in
equilibrio (persino con il bimbo in braccio), sempre contraddistinte dalla
giacchetta o dall’abitino buono.
E poi, le ragazze del tirassegno che mimano gesti
che provengono dal West, il nuovo mito americano che sta avanzando.
Li vediamo nelle loro esibizioni, semplici, persino
rudimentali, se viste con i nostri occhi viziati dalle troppe immagini
provenienti da tutto il mondo; ma allora? Come non ricordarle immerse nella
magia delle luci, l’odore dello zucchero filato, delle frittelle, gli scoppi
degli spari al tirassegno?
Una magia che ci è stata raccontata da Fellini in
modo indelebile…
Ecco, in queste foto c’è il mondo di Gelsomina e
Zampanò, che si spinge avanti, per arrivare fino a noi, che, però, purtroppo
non siamo più capaci di comprendere.
Sullo sfondo, infatti, si intravvedono i capannoni
del boom industriale, preannuncio di una storia che comincia e, ahimè, di una
storia – quella raccontata da queste fotografie – che sta per finire.
Perché, in fondo, non esiste la Storia; in realtà
esistono migliaia, milioni di storie, ognuno ha la sua, che si intrecciano, che
si intersecano l’una all’altra e insieme compongono una ipotetica Storia con la
S maiuscola che sta agli storici descrivere; e così, mentre questi acrobati
sono eredi di una attività plurisecolare di saltimbanchi, ecco che
all’orizzonte appare una nuova civiltà, meno ingenua, più esigente, più avvezza
alle cose del mondo, ma anche incapace di vera meraviglia.
“Un vetro che riluccica ci sembrava l’America”
cantava Mia Martini nella struggente “La nevicata del ‘56”.
Come ci incantavano queste persone, sempre avvolte
di un fascino e di un mistero sconosciuto a noi, stanziali.
Certo, c’è molto mito costruito attorno alla loro
“libertà”, che li ha resi protagonisti di una certa stucchevole idealizzazione,
una libertà pagata sicuramente a prezzo di fatiche inenarrabili.
Però, nella società del tempo, il loro compito era
quello di portare magia, nei nostri paesi, nei nostri rioni, in occasione delle
feste, e di questo ruolo insostituibile, i personaggi di Pozzoli, sembrano
essere coscienti: circondati da nidiate di bambini, ci guardano fieri e
orgogliosi, pronti a sfidare un futuro che di loro e delle loro povere
acrobazie, invece, non sa più che farsene.
Per questo il lavoro di Pozzoli è un tesoro di
inestimabile valore. Racconta di noi, del nostro recente passato, della
ricchezza che abbiamo conquistato e, purtroppo, anche della poesia che abbiamo
perduto.